55 ANNI FA SULLE STRADE DI ROMA VENIVA SCRITTA UNA DELLE PIU' BELLE E STRAORDINARIE PAGINE DELLA STORIA DELLO SPORT: L'ETIOPE ABEBE BIKILA SI LAUREAVA CAMPIONE OLIMPICO DELLA MARATONA, CONQUISTANDO LA PRIMA MEDAGLIA D'ORO PER UN PAESE AFRICANO. UN'IMPRESA CHE VIDE ANCHE IL GRA TRA GLI SCENARI PRIVILEGIATI
Non me ne vogliano gli appassionati di cinema e documentari e soprattutto non me ne voglia Gianfranco Rosi, il regista che nel 2013 con Sacro GRA ha portato il Grande Raccordo Anulare nell'olimpo del Leone d'Oro alla 70a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica a Venezia. Il suo merito (oltre alla compiutezza tecnica e stilistica della pellicola) sicuramente è stato quello di risvegliare un interesse vivace attorno all'urbanistica, al paesaggio e soprattutto all'antropologia sociale dell'uomo urbano che vive attorno a una zona di frontiera fisica ed ideale come il Raccordo.
Ma il giorno più alto e grande del Grande Raccordo Anulare non può che rimanere il 10 settembre del 1960, un sabato di fine estate. E' quel periodo in cui dopo averci fatto molto la bocca, il precoce calare del sole comincia a spezzare l'incanto della bella stagione, che appare ormai come un dolce retrogusto. Ma non è stata un'estate qualunque a Roma. La Città Eterna è sede dei Giochi della XVII Olimpiade. Livio Berruti, Wilma Rudolph, un giovane pugile statunitense chiamato Cassius Clay sono i principali protagonisti che animano quel finale di calda stagione a ritmo di sport.
Ma poi ecco arrivare il penultimo giorno di gare, sabato 10 settembre. E' il momento della regina delle distanze nell'atletica, quello della Maratona. Ispirata alla leggendaria corsa di Fidippide dall'omonimo villaggio greco fino ad Atene per annunciare la vittoria sui Persiani nella battaglia del 490 a.c., la competizione misura dalle Olimpiadi del 1908 42 km e 195 metri.
69 atleti provenienti da 35 paesi dei cinque continenti partono all'ombra dei Dioscuri del Campidoglio quando sono le 17.30. I favoriti per la stampa specializzata sono il sovietico Sergey Popov, il marocchino Radhi Ben Abdesselam e il belga Aurelie Vandendriesche. Qualche chances la si concede all'argentino Osvaldo Suárez, plurivincitore della Corrida di San Silvestro di San Paolo del Brasile e al franco algerino Alain Mimoun, campione olimpico in carica, nonostante quest'ultimo confessi alla vigilia della gara qualche acciacco di troppo.
La Maratona dopo aver attraversato piazza Venezia, via dei Fori Imperiali, la Via dei Trionfi(attuale via di San Gregorio) scorre prima su viale delle Terme di Caracalla e quindi, attraversati gli archi di Porta Ardeatina, imbocca il lungo serpente della Cristoforo Colombo.
Ed è proprio sull'ampio ed esteso viale che conduce al litorale romano che comincia a crearsi la selezione: il favorito Sergey Popov- accompagnato dal connazionale KonstantinVorobyov e dal neozelandese Barry Magee- resta leggermente staccato da un gruppo di sei battistrada che si apre il cammino verso il laghetto dell'EUR e il Palazzo dello Sport.
Ci sono il marocchino Radhi Ben Abdesselam e il belga Aurelie Vandendriessche, due dei favoriti della vigilia; assieme a loro un altro atleta del Marocco, Allah Saoudi, l'irlandese Gerry McIntyre, il trentanovenne britannico Arthur Keily, e poi c'è lui, un etiope, si chiama Abebe Bikila. Nato nel 1941, ha 28 anni ed è arruolato come soldato nel 5° Reggimento della Guardia Imperiale etiopica dell'imperatore Haile Selassie. Sposato con due figli, la maratona sembra essere nel suo destino: è infatti nato il 7 agosto del 1932, nel giorno in cui a Los Angeles si corse la Maratona dei Giochi della X Olimpiade, vinta dall'argentino Juan Carlos Zabala. A differenza dei suoi compagni di fuga ha una particolarità: corre scalzo. Non lo fa perché è povero e vuole dimostrare al mondo che venendo dal basso e in condizioni precarie si può comunque primeggiare, lui semplicemente è abituato a correre privo di scarpe e così si sente più a suo agio. Il suo tecnico, Onni Niskanen, svedese di origini finniche ed ex consigliere militare di Haile Selassie, non ha nulla da obiettare infatti quando il suo atleta gli esprime la preferenza per correre senza calzature.
Ed è proprio sull'ampio ed esteso viale che conduce al litorale romano che comincia a crearsi la selezione: il favorito Sergey Popov- accompagnato dal connazionale KonstantinVorobyov e dal neozelandese Barry Magee- resta leggermente staccato da un gruppo di sei battistrada che si apre il cammino verso il laghetto dell'EUR e il Palazzo dello Sport.
Ci sono il marocchino Radhi Ben Abdesselam e il belga Aurelie Vandendriessche, due dei favoriti della vigilia; assieme a loro un altro atleta del Marocco, Allah Saoudi, l'irlandese Gerry McIntyre, il trentanovenne britannico Arthur Keily, e poi c'è lui, un etiope, si chiama Abebe Bikila. Nato nel 1941, ha 28 anni ed è arruolato come soldato nel 5° Reggimento della Guardia Imperiale etiopica dell'imperatore Haile Selassie. Sposato con due figli, la maratona sembra essere nel suo destino: è infatti nato il 7 agosto del 1932, nel giorno in cui a Los Angeles si corse la Maratona dei Giochi della X Olimpiade, vinta dall'argentino Juan Carlos Zabala. A differenza dei suoi compagni di fuga ha una particolarità: corre scalzo. Non lo fa perché è povero e vuole dimostrare al mondo che venendo dal basso e in condizioni precarie si può comunque primeggiare, lui semplicemente è abituato a correre privo di scarpe e così si sente più a suo agio. Il suo tecnico, Onni Niskanen, svedese di origini finniche ed ex consigliere militare di Haile Selassie, non ha nulla da obiettare infatti quando il suo atleta gli esprime la preferenza per correre senza calzature.
Gli atleti dopo l'EUR percorrono la Cristoforo Colombo fino all'altezza di Vitinia. Dopodiché tornano indietro sul lungo viale dedicato al grande navigatore e all'altezza del Ponte di Mezzocammino imboccano il Grande Raccordo Anulare.
IL GRA E LA MARATONA OLIMPICA, IL MATRIMONIO PIU' INEDITO CELEBRATO SULL'ALTARE DELLO SPORT
E' l'inizio del viaggio degli atleti sul GRA. Il ponte di Mezzocammino quasi quasi coincide veramente con metà del percorso di gara: la mezza maratona è a 21,097 km, il passaggio presso il monumentale ponte corrisponde a 20,300 km del tragitto.
La maratona di Roma 1960 proprio a partire da questo tratto dimostra tutta la sua peculiarità. Il Raccordo Anulare per le sue caratteristiche fa certamente pensare molto di più a motori rombanti e ruote gommate che non alle gambe, ai piedi e al fiato di decine di atleti impegnati a mettere avanti un passo dietro l'altro correndo. Se qualcuno prima o dopo quel giorno avesse immaginato un incontro tra il Raccordo e lo sport, sicuramente avrebbe molto più facilmente fantasticato su una qualche gara automobilistica, come la Mille Miglia o magari un'edizione speciale di un Gran Premio di Formula 1. Invece l'inedito matrimonio tra il GRA e lo sport si celebra sull'altare della corsa a piedi, con una cerimonia che invece dello strepito dei motori a scoppio, ha come colonna sonora il respiro oscillante e il passo felpato o pesante di maratoneti a caccia della gloria massima.
In questo antitetico connubio, dove la futura autostrada A 90 fa spazio ai piedi dei corridori più che alle ruote di automobili, gli eroi della maratona di Roma '60 percorrono il GRA in senso antiorario, lungo la carreggiata esterna. Infatti una volta imboccata l'arteria circolare all'altezza di Mezzocammino e della Colombo, gli atleti proseguono in direzione sudest verso l'Appia.
A pensarci bene anche percorrere il Raccordo in direzione Aurelia avrebbe avuto una sua perfetta logica: seguendo infatti la Circonvallazione Occidentale, la maratona avrebbe potuto raggiungere l'ultima uscita allora esistente a nord,quella della Flaminia, e da lì raggiungere lo Stadio Olimpico. Ma quella di Roma è una delle tre maratone olimpiche che non ha abbracciato lo stadio Olimpico né alla partenza né all'arrivo (le altre due sono state Atene 2004 e Londra 2012). La Commissione di Studio per le Olimpiadi del 1960 infatti, già nel marzo del 1956 aveva proposto che alcune competizioni dei Giochi si svolgessero in scenari storici, per risaltare i monumenti e l'antichità di Roma. In tale quadro venne deciso che le competizioni di Ginnastica Artistica si svolgessero alle Terme di Caracalla, le gare di lotta nel Foro Romano presso la Basilica di Massenzio e che la gara di maratona partisse dal Campidoglio e arrivasse sotto l'Arco di Costantino, a pochi metri dal Colosseo. Per raggiungere il prestigioso traguardo nei pressi dell'antico anfiteatro Flavio, la regina delle gare di corsa dopo il suo transito sul Grande Raccordo Anulare avrebbe imboccato l'Appia Antica, proprio a partire dalla strada di circonvallazione.
A pensarci bene anche percorrere il Raccordo in direzione Aurelia avrebbe avuto una sua perfetta logica: seguendo infatti la Circonvallazione Occidentale, la maratona avrebbe potuto raggiungere l'ultima uscita allora esistente a nord,quella della Flaminia, e da lì raggiungere lo Stadio Olimpico. Ma quella di Roma è una delle tre maratone olimpiche che non ha abbracciato lo stadio Olimpico né alla partenza né all'arrivo (le altre due sono state Atene 2004 e Londra 2012). La Commissione di Studio per le Olimpiadi del 1960 infatti, già nel marzo del 1956 aveva proposto che alcune competizioni dei Giochi si svolgessero in scenari storici, per risaltare i monumenti e l'antichità di Roma. In tale quadro venne deciso che le competizioni di Ginnastica Artistica si svolgessero alle Terme di Caracalla, le gare di lotta nel Foro Romano presso la Basilica di Massenzio e che la gara di maratona partisse dal Campidoglio e arrivasse sotto l'Arco di Costantino, a pochi metri dal Colosseo. Per raggiungere il prestigioso traguardo nei pressi dell'antico anfiteatro Flavio, la regina delle gare di corsa dopo il suo transito sul Grande Raccordo Anulare avrebbe imboccato l'Appia Antica, proprio a partire dalla strada di circonvallazione.
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Come si presenta oggi con il Raccordo che passa sotto la sede dell'antica consolare: da lì i maratoneti presero a galoppare verso il centro |
Sul GRA i maratoneti percorsero in totale 10,450 km, quasi un quarto della distanza complessiva. Come visto l'ingresso fu all'altezza di Mezzocammino, al km 20,300 della gara e l'imbocco in corrispondenza dell'Appia Antica, al km 30,750 del tragitto.
Un segmento che prevedeva il passaggio lungo l'asse che oggi attraversa le uscite 27 (Cristoforo Colombo, km 55.3), 26 (Via Pontina, km 54,8) 25 (Via Laurentina, km 52,6) e 24(Via Ardeatina, km 48,0) e che, prima di raggiungere l'attuale uscita 23 dell'Appia Nuova, contemplava l'immissione sulla Via Appia Antica intorno al km 45. Oggi fortunatamente il GRA bypassa l'antica consolare con un moderno sistema di gallerie. Ma quando si corse la maratona olimpica di Roma 1960 (e per quasi altri quattro decenni) la grande arteria di circonvallazione della Capitale tagliava in due l'antica strada romana, compromettendo sostanzialmente già allora il prosieguo del cammino su di essa in entrambe le direzioni.
Se la maratona olimpica di Roma 1960 è entrata di diritto nella storia ed epica dello sport, non solo lo deve al mero trionfo di Bikila, alla prima medaglia d'oro del continente africano conquistata in terra italiana da un atleta dell'Etiopia, paese che solo pochi anni prima aveva sofferto la barbara ferita del colonialismo dell'Italia fascista. Non lo deve neanche esclusivamente ai piedi scalzi con cui Abebe sfidò il mondo quel giorno a Roma e con cui stabilì quel pomeriggio-sera l'allora nuovo record olimpico e mondiale sulla distanza, fissato dall'etiope a 2h15'16".2 . O meglio lo deve sicuramente anche a tutti questi elementi. Ma né il primo grande trionfo mondiale dell'atletica africana, né la simbolica rivincita sul colonialismo italiano nella terra del vecchio dominatore e nemmeno la corsa a piedi scalzi con annessi record olimpico e mondiale potrebbero aver reso così magica quella pagina di storia senza quella cornice, quel palcoscenico da imperatori: l'Appia Antica. Il fascino della sua storia, dei monumenti che ne accompagnano il tracciato e della sua passata importanza strategica per le comunicazioni e i commerci con l'Oriente della Roma antica, danno alla cavalcata di Abebe Bikila verso il suo primo oro olimpico un'aurea che quattro anni dopo le strade di Tokio non potranno uguagliare in occasione del suo secondo trionfo.
Detto questo però non ci si può neanche abbandonare alla mitologia pura, trascurando rilievi storici che aiutano a far maggiormente luce e chiarezza circa alcuni aspetti e dettagli di questa indimenticabile e magnifica vicenda. Spesso per risaltare con maggior vigore l'impresa di Abebe Bikila a Roma 1960, si pone l'accento sui piedi scalzi con cui il maratoneta etiope sfidò impavidamente il basolato della Via Appia. Sono peraltro alcuni importanti personaggi legati a questa storia che hanno enfatizzato l'asperità del fondo dell'Appia Antica in quel giorno del 1960. Dai libri 'Un Sogno a Roma' e 'La Rivoluzione di Bikila' di Giorgio Lo Giudice e Valerio Piccioni possiamo infatti estrarre la significativa testimonianza di Arthr Lidyard, guru dell'atletica neozelandese ed allora allenatore del maratoneta suo connazionale, Barry Magee, vincitore della medaglia di bronzo in quella maratona :
"Ho sentito spesso Barry descrivere quella corsa. Avete mai visto l'Appia Antica a Roma? E' là da duemila anni e consiste di pietre lunghe uno o due piedi che escono fuori dalla superficie e che sono spesso lontane l'una dall'altra. E naturalmente la corsa iniziò di giorno, ma la seconda metà si svolse nel buio [...]"
Senza evidentemente avere l'intenzione di sminuire l'impresa di Bikila e degli altri atleti che corsero quella gara, è però necessario rammentare che l'Appia Antica del 1960 era una strada dal fondo completamente diverso da quello odierno.
Seppur con angolature differenti, i due scatti di cui sopra rappresentano altrettante istantanee dello stesso tratto dell'Appia Antica: il primo ci fa vedere com'era nel 1985( e quindi com'era anche nel 1960), il secondo invece mostra come si presenta oggi l'inizio di quella che possiamo denominare la 'tratta olimpica' dell'antica consolare, vale a dire quella parte della Regina Viarum transitata dai maratoneti il 10 settembre 1960. Come si può perfettamente constatare nella prima foto, l'Appia Antica tra la fine degli anni '50 e fin quasi il Giubileo del 2000 è stata concepita come una strada a misura d'auto e trasporto su gomma, con fondo asfaltato e praticamente piatto nella sua interezza, per facilitare il passaggio di autoveicoli e altri motorizzati. Nella seconda foto invece si nota una carreggiata ristretta e con il fondo ripavimentato con sampietrini, per ripristinare un aspetto più consono alla sua tradizione paesaggistica e pensato maggiormente per escursioni a piedi e in bicicletta.
Il cambio di paradigma è avvenuto con il sotterramento del Grande Raccordo Anulare, che dopo quasi mezzo secolo di transito sull'antica sede dell'Appia è stato fatto confluire in gallerie sotterranee che hanno consentito dal 1999 in avanti di ripristinare la continuità dell'antico tracciato della storica consolare.
Circa gli aspetti particolari e il perché venne a generarsi questa situazione, un'ampia analisi può essere esaminata nel precedente post del blog:
PERCHE' OGGI LA MARATONA DI ROMA 1960 NON SAREBBE POSSIBILE
Quello che va quindi detto è che nel 1960 gli sporgenti ed insidiosi 'lastroni' di basalto a cui faceva cenno nei suoi ricordi Arthur Lidyard, sporgevano lungo l'Appia Antica in pochissimi e scarsi tratti, per una lunghezza totale di qualche centinaio di metri. Gli stessi sampietrini con cui oggi è stato ripavimentato l'intero tracciato dell'Appia Antica ( più abbordabili per l'appoggio del piede dei basoli, ma che comunque presentano una precaria aderenza per le suole delle scarpe o le piante dei piedi) erano stati anch'essi rimossi e sostituiti con asfalto nella quasi totalità della 'tratta olimpica'. Quindi la superficie affrontata dai piedi dei maratoneti,e in particolare quelli scalzi di Abebe Bikila, non corrisponde al fondo decisamente più ostico in cui si imbatterebbero oggi l'etiope e i suoi rivali. L'esempio più lampante delle due differenti situazioni è quello del tratto basolato oggi presente all'altezza delle base dell'Aeronautica Militare 'Forte Appia', tra via dei Lugari e Vicolo di Tor Carbone, di cui nella foto qui sotto:
Nell'immagine si può osservare una parte di un ampio tratto di basolato che misura all'incirca 800 metri e che il 10 settembre 1960 era interamente ricoperto dall'asfalto. Se oggi Abebe Bikila e gli altri maratoneti del 1960 avessero avuto a che fare con questo tipo di fondo, è molto probabile che istintivamente avrebbero cercato di guadagnare i sentieri sterrati che si scorgono ai margini della strada, perdendo qualcosa sicuramente nel ritmo e nella scioltezza di corsa. Ciò vale ancor di più se si tiene conto che in quella parte di gara gli atleti transitavano tra il km 35 e il 36, quindi praticamente entrando nella fase decisiva della competizione. Il buio e l'esclusiva illuminazione naturale del fuoco delle fiaccole in dotazione ai soldati appostati ogni 100 metri sono stati sicuramente un fattore di compensazione. Difficile stabilire quanto avrebbero perso oggi, anche se con un po' di buon senso sommando all'oscurità del finale il fondo attuale, Bikila magari avrebbe pure vinto lo stesso la medaglia d'oro, ma quasi sicuramente non avrebbe stabilito la miglior prestazione mondiale, giacché l'etiope a Roma migliorò di appena 8 decimi di secondo la precedente best performance, stabilità due anni prima da Popov.
Il resto della maratona è storia nota a quasi tutti: all'altezza di Porta San Sebastiano, al 40° km della gara Abebe Bikila stacca Radhi Ben Abdesselam per involarsi verso il primo dei due ori olimpici consecutivi in maratona, celebrato ai piedi dell'Arco di Costantino.
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Abebe e Radhi passano a Cecilia Metella : manto stradale piatto, diverso da quello in sampietrini presente oggi sulla salita/discesa che fiancheggia la monumentale tomba |
Il resto della maratona è storia nota a quasi tutti: all'altezza di Porta San Sebastiano, al 40° km della gara Abebe Bikila stacca Radhi Ben Abdesselam per involarsi verso il primo dei due ori olimpici consecutivi in maratona, celebrato ai piedi dell'Arco di Costantino.
L'Appia Antica fu sicuramente il palcoscenico più bello, affascinante e suggestivo dell'intero tracciato, ma senza lo scempio del Raccordo Anulare, ovvero il passaggio del GRA sull'antica consolare che veniva da esso tagliata in due, il transito sulla storica strada in quella gara olimpica avrebbe avuto implicazioni logistiche praticamente insormontabili, rendendolo pressoché impossibile . Il percorso di quella maratona al giorno d'oggi, non solo dovrebbe infatti far fronte all'ostilità di un Appia Antica dal fondo molto più duro e rigido, ma dal Raccordo il percorso dovrebbe anche bypassare le gallerie del tunnel dell'Appia Antica con una rampa artificiale che porti gli atleti dal GRA sul terrapieno che ha sotterrato il Raccordo e da tale collina i maratoneti dovrebbero quindi discendere fino all'Appia Antica, incrociandola pressapoco nel punto in cui transitava la grande arteria fino al 1999.
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Com'era l'incrocio Appia Gra nel 1960... |
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...com'è oggi |
Personalmente arrivo alla conclusione che, con i tempi che corrono, nessun comitato organizzatore farebbe mai disputare la Maratona dei Giochi Olimpici su un simile percorso, che risulterebbe alquanto macchinoso e poco funzionale allo show business delle prestazioni cronometriche da sballo, che ormai sono all'ordine del giorno anche in sede olimpica.
Tutto questo ci fa capire che la vecchia e polemica intersezione GRA-Appia Antica( abolita grazie alle opere per il Giubileo del 2000) aldilà dei molteplici danni arrecati per svariati decenni al patrimonio archeologico e paesaggistico dell'Agro Romano, ha comunque rappresentato l'anello fondamentale affinché la storia dello sport potesse regalarci una pagina tanto affascinante come il duello di Abebe e Radhi nella notte della Regina Viarum, quando l'Africa mandò in scena a Roma la sua prima danza di corsa. Una danza che cominciò a prendere ritmo sul Grande Raccordo Anulare.
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